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  • Immagine del redattoreSimone Marchetti

Sugli impulsi esterni dell'era social e del "mai una gioia"

Spesso capita che amici, conoscenti o collaboratori mi mandino o condividano alcuni post di varie pagine social inerenti a particolari tematiche (ad es. di attualità, politica, sportive o semplicemente sulla vita). Contenuti e meme che non saprei come definire (ironici? satirici?).

Non metto in dubbio che alcuni siano simpatici e anche molto acuti, devo ammettere, ma non mi hanno mai convinto totalmente e non mi sono mai piaciuti sin dalle prime volte che ho avuto a che fare con questo modo di comunicare.


Perché?


Perché dietro l’apparente comicità di questi meme, la critica alla società (o ad altro) e ad un “disagio” generazionale dei nostri tempi che in certi punti è azzeccato, il risultato dei vari post è quello di emanare questa persistente aura di resa e passività nei confronti di tutte le problematiche che accusano. Non voluta probabilmente, ma è quello che succede.


È l’emblema della generazione del “mai una gioia”, dove ci si limita a vivere il “disagio” di non si sa bene che cosa.


Per quanto lo si possa mascherare con un “ah ma è solo per ridere”, c’è un subdolo effetto di convincimento e abbraccio di questo approccio alla visione delle cose che diventa in effetti inevitabile e progressivo. Diventa la tua filosofia di vita.


E quel che traspare da tutti quei meme, mi spiace dirlo, è una condizione di resa, tanto "le cose stanno così e siamo fregati, ridiamoci su".


Mi spiace, sono di un’altra parrocchia. Influenze sociali digitali agiscono come quelle reali. Ci si ispira a vicenda. I social possono essere un posto disruttivo o costruttivo, specie nel gioco delle influenze, a seconda di come vengono usati. Non promuoverei mai una persona o contenuti che, sebbene evidenzino alcune indiscutibili reali condizioni della vita attuale per alcuni individui (a quanto pare molti), non facciano assolutamente niente per instillare quello spirito guerriero, di ribellione e azione per provare ad andare contro la condizione “disagiante”, ma lasciandosi invece abbandonare con una risata allo stato delle cose. Al diavolo questo atteggiamento. Sono del tutto a favore del costruire qualcosa che distrugga e prenda il posto di ciò che è percepito come disfunzionale, e sono per atteggiamenti proattivi, non di osservazione passiva e immobile. Va bene ridere e sdrammatizzare su situazioni. Non c’è problema. Non è un problema nemmeno continuare a seguire certe pagine, se in fondo ci strappano un sorriso. Unica cosa da tenere a mente: la consapevolezza del fatto che nel bene o nel male, hanno un impatto su di noi.


Impulsi esterni, influenze esterne. Contano eccome.


Per esperienza ho notato che chi più condivide certe tematiche, ne è effettivamente pervaso e le fa sue, per cui nascondersi dietro il “solo per ridere”, funziona fino ad un certo punto e si applica a qualunque altra situazione analoga.


Siate in controllo delle influenze esterne. Più lo sarete, più smetteranno di essere influenze e potranno diventare strumenti utili.

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